Buongiorno cari lettori,
per la nostra rubrica ”Spazio Autori” in cui andiamo a scoprire nuove opere, vi parlo del romanzo di Rosa Elenia Stravato “Il profilo del tempo”
Genere: Young Adult-narrativa
Prezzo: €12
Numero pagine: 107
Editore: Les Flaneurs Edizioni
Trama
Sara abita a Roma, è una studentessa universitaria e coltiva il sogno di un amore con la A maiuscola. Immersa nello studio e nei suoi film preferiti, cammina fra le vie della Capitale perdendosi ogni giorno in nuove storie e nuove emozioni. Meta sicura delle sue passeggiate è il grande orologio ad acqua di Villa Borghese a cui affida i suoi pensieri, come a un porto sicuro, un luogo a cui tornare perché gli si appartiene. Condivide la casa con Vale, che diventerà per lei come una sorella, e ha un’amica un po’ troppo fuori dagli schemi. E sarà proprio grazie a lei, Maria Chiara, che Sara farà la conoscenza di Edo in una notte qualunque nella Roma della vita notturna. Un incontro, il loro, destinato a segnare le esistenze di entrambi nel bene e nel male.
Estratti
”Era sempre stato lì. Prima di me, forse di chiunque. Non sapevo se mi stesse osservando o se lo stessi facendo io. Un marchio, una colla fortissima.
Erano passati cinque lunghissimi anni, ma era come tornare a quel primo giorno. Sembrava tutto scritto, eppure era un inizio. La bellezza intangibile degli inizi è come il profumo di un passante. Vorresti fermarlo per chiedergli che fragranza usa, ma lo lasci passare, restando sospesa in quella scia. Spesso consegni, a quel che resta del suo passaggio, un pensiero o una promessa.
Ero arrivata da soli due giorni a Roma. Avvolta da chiunque e abbastanza spaesata. Una perfetta marionetta senza fili ammaestrata a dovere da un malefico e sfatto burattinaio con l’aria diabolica, un po’ idiota. Ogni singolo passo mi sembrava un chilometro per il futuro.
Ripercorrevo con la mente i nomi e i segni di riconoscimento che mi avrebbero riportato, poi, verso casa. Mi ero persa e non riuscivo ad avere paura, ero segretamente innamorata di quell’incoscienza. Incuriosita da quello strano fruscio armonioso che riecheggiava nella viuzza, mi ritrovai dinanzi a uno strano orologio. Non vi era nessuno. Solo io e lui.
Quattro quadranti alimentati da un getto d’acqua sottostante che muove il pendolo,
incastonati in una torricciola al centro di un laghetto con qualche decorazione rurale:
l’orologio ad acqua, nel cuore del Pincio, il polmone romantico e scanzonato della eterea Città eterna.
Forse è vero: non si è mai in un luogo per caso. Saltai sul primo bus che trovai con la scritta “Stazione Tiburtina”, una bolgia di dannati era condensata in quel rottame a quattro ruote che ondeggiava sulle mille buche della Capitale. Ma quell’immagine non si scrollava dalla mente. Ci sono luoghi che appartengono solo a chi riesce a custodirli meglio di chiunque altro, raccontano storie, ti spingono a prendere decisioni, a preservare delle emozioni e a cadenzare la danza delle incertezze che riveste le giornate infinite. T’invitano a prenderti cura di loro. Quei posti esistono e ti abitano dentro, ovunque tu vada.
E io c’ero tornata, ancora una volta. E poi, un’altra e un’altra ancora. In punta di piedi,
ancora una volta dispersa. Può un posto essere la risposta ai tuoi mille perché? Può l’acqua scalfire il tempo della tua esistenza?”
”Un dolce bacio ci divise dopo quelle ore di bellezza furente.
Quella brezza di passione mi accompagnò verso la mia routine, verso il mondo oltre quelle mura. Ero spoglia di ogni parte di me, ci aveva tutto Edo. Love of my life mi fece da supporto lungo il tragitto che dal bus mi consegnò alla mia abitazione. Era perfetta quella canzone, raccontava di un sentimento delicatamente violento.
Rientrando in casa trovai Vale in visibilio, pronta ad avere tutte le spiegazioni in merito alla mia latitanza di qualche ora, e soprattutto voleva assicurare a se stessa che io stessi bene e non avessi commesso alcuna cavolata. Nessuna parola avrebbe reso giustizia a quelle ore profumate di vento e armonia. Forse temevo in un’aspra condanna da quel mondo bigotto in cui, anch’io spesso, mi rifugiavo. Lasciai scivolare i vestiti sul pavimento, incredula. Il loro soffice tonfo mi gonfiò di eccitazione. Ogni parte di me aveva il suo sapore. Ogni singolo centimetro era stato frugato da quegli occhi che mi avevano consegnato all’abbondanza, al piacere supremo. Lavai con forza il mio corpo.
Avevo le immagini di noi impresse sulla pelle, nitide come frame negli occhi. L’odore del bagnoschiuma al cocco non riusciva a coprire il sapore violento e verace di quelle ore. Un corpo che non riconoscevo più, il mio. Un corpo pieno di soffici segni, di graffi silenziosi.
Mi guardai a lungo allo specchio, nuda. Era come se mi avesse oltrepassato, donandomi una nuova luce. È così, forse, che ci si sente donne? Era quello, il sapore della passione?
Ancora zuppa d’acqua rintracciai la mia immagine nello specchio opacizzato dal tepore del vapore. Quell’immagine riflessa, incantata, ero io. Restai ferma, eterea, immobile per qualche istante. Brillavo. Brillavo di una luce stupenda.
Mi sdraiai sul letto. Consegnai a delle parole mute il desiderio di farlo ancora. Non una, cento, mille volte. Ancora.
Avevo bisogno d’essere ancora sua. Era una dipendenza, la mia. Avevo bisogno di vedere ancora il sole tramontare sotto le nostre lenzuola. Sapete?
Il sole, a Roma, si addormenta sotto le lenzuola dei coraggiosi amanti. Sotto i tetti degli ingordi, degli avidi di piaceri carnali. Quella notte, il sole mi abitava dentro e, nemmeno la notte, poteva strapparmelo via.”
Spero di avervi incuriositi!
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Un abbraccio e a presto,
Sara